Noemi Belotti
Spirito punk e ritrattista eccezionale, lavora prevalentemente come fotografa e in post-produzione nelle sfilate di alta moda in giro per il mondo.
Quando è nata la tua passione per la fotografia?
Ricordo di aver cominciato a scattare con delle macchinacce (anche se per me all’epoca erano meravigliose!), intorno ai 17 anni. Ma tempo fa mi è successa una cosa davvero romantica: rimettendo a posto la mia vecchia cameretta, ho ritrovato un diario segreto di quando avrò avuto 11 o 12 anni, in cui scrivevo “caro diario, da grande voglio fare la fotografa!”. L’avevo completamente dimenticato e mi sono sorpresa del fatto che avessi già questo sogno!
Prima che diventasse una cosa seria ci sono voluti anni, tanti ripensamenti e idee strampalate nel frattempo. Ma alla fine sono ancora qui a fotografare!
Oggi sei nel settore dell’alta moda, come ti ci sei avvicinata? Vuoi parlarci un po’ di quel mondo a noi così sconosciuto?
Mi ci sono avvicinata per puro caso. Qualche anno dopo aver finito la scuola di fotografia a Milano, ho visto che una mia vecchia compagna di scuola stava lavorando a Parigi per le sfilate . Le chiesi cosa facesse e se avessero bisogno di una mano in più. Nel loro team mancava una persona e così mi chiamarono per sapere se ero disposta a partire proprio due giorni dopo per NYC. Non ci ho pensato due volte!
Sono 6 anni che lavoro nel settore delle sfilate. Un mondo che odio e che amo, perché è davvero molto molto stressante, si viaggia di continuo, aerei, jet leg, cibo spazzatura e tanto spirito di adattamento, ma allo stesso tempo molto eccitante: nonostante sia un lavoro faticoso, fatto di orari davvero estremi e ritmi folli, mi ha permesso di girare il mondo e di assistere a degli spettacoli che mai pensavo di poter vedere. La moda è arte, e davvero ti permette di riempirti gli occhi di bellezza, così come di riempirti la testa di grandi stimoli: dagli show di Jacquemus nei campi di grano vicino Parigi, all’eleganza degli abiti di Givenchy, fino a passare per gli abiti di protesta di Vivienne Westwood o le creazioni artistiche di Rick Owens che rivoluzionano il concetto di bellezza.
E’ un mondo assolutamente frenetico, dove lavorano davvero tante figure, in tempi brevissimi, al massimo dell’eccellenza e il tutto per 10/15 minuti che è la durata di una sfilata!
Sei spesso in giro per lavoro, New York, Londra, Parigi, Milano; Cosa prendi e cosa lascia in ogni città che visiti?
Il viaggio è l’essenza di questo lavoro per me, come per tanti miei colleghi. Se non ami viaggiare, adattarti, arrangiarti….allora non è un lavoro da tenere in considerazione! Adoro viaggiare perché ti obbliga a metterti in gioco in posti sempre nuovi e sconosciuti, perché ti permette di conoscere davvero tante persone e soprattutto nuove culture e modi di vivere. Ti fa capire che non esiste un modo “giusto”. Ogni posto ti lascia qualcosa, ovviamente se sei disposto a viverlo e non visitarlo da turista (e soprattutto da ripetere come un mantra: non mangerò italiano all’estero, non mangerò italiano all’estero!).
Ogni città che ho visitato ha un suo carattere.
Fra le varie, lascio sempre un pezzo di cuore a NY, la città degli stranieri! Tutti sono stranieri in questa città, tutti vengono da altri posti e quindi è un mix assurdo di culture, dove davvero non esiste un giusto o sbagliato, dove ti ripetono all’infinito che “puoi essere quello che vuoi”. Ogni volta che ci vado torno piena di cose matte viste, gente assurda conosciuta e situazioni che non ti aspetti. E in tutto questo c’è un gran rispetto fra le persone.
Ma non nego che pure le passeggiate sulla Senna, o i bicchieri di vino nelle osterie nascoste nelle viuzze francesi non sono per niente male!
Torno a casa con esperienze e persone nel cuore, e occhi pieni pieni pieni di bellissimi paesaggi.
(E odori: NY puzza.)
E’ cambiata moltissimo.
Se anni fa a fotografare una sfilata c’erano 100 fotografi, col tempo sono diventati 20 e ora sono 2.
In questo settore si è capito che si può fare il tutto con budget più ridotti e meno fotografi, almeno per quanto riguarda la fotografia di passerella, perché è una fotografia estremamente tecnica, in cui bisogna solamente fotografare bene il soggetto. La fotografia dove c’è bisogno di un’interpretazione, invece, è ancora importante (come la fotografia di backstage, dove si interagisce con la modella, o si creano dei reportage).
La fotografia è diventato uno strumento molto più accessibile, tutti possiamo fare delle fantastiche fotografie oggi, non c’è bisogno di avere una macchina costosa o conoscere per forza tutti i tecnicismi. Ovvio, tutto questo aiuta e ti da i mezzi per capirne di più, ma adesso la distinzione è fra tecnici (tutti possiamo diventarlo) e autori. Chi emerge, oggi, è perché ha una visione diversa dal comune.
Di fotografie fatte bene, ne è pieno il web. Ma di fotografie interessanti?
Hai fotografato anche alcuni personaggi famosi, chi è che ti ha più emozionato immortalare?
Francesco Cito. Uno dei più grandi reportagisti italiani, che ha vinto un’infinità dei maggiori premi fotografici internazionali.
Stavo scattando delle foto ai miei vicini di casa, quando abitavo a Milano. Non sapevo che lui fosse l’inquilino del primo piano. Quando me lo sono trovato davanti mi sono imbarazzata tantissimo! Lui è stato molto disponibile, e anzi, mi ha anche aiutato. Ma in quel momento non stavo molto ragionando e infatti gli ho fatto un ritratto davvero pessimo!
Ultimamente durante una manifestazione ho realizzato uno scatto per me bellissimo ad Aboubakar e Cathy La Torre, che alla fine dell’evento si sono trovati nel dietro le quinte, si sono abbracciati e Cathy ha preso in braccio il figlio di Aboubakar. E’ stato uno scatto di una situazione molto naturale ed intima. E’ una foto che mi ha emozionato sia fare, che guardare.
Vivienne Westwood. Che donna ragazzi! E’ pazzesca. Ma avrei una paura davanti a lei. Non è una grande, lei è una gigante! Non solo della moda, ma della musica, della storia, del femminismo!
Ha un volto ed un fascino irresistibili.
Ho visto il lavoro di Marco Petrucci che ha realizzato in Islanda. Adoro il suo modo di vedere, è molto delicato e profondo. Ha un tocco davvero personale e conoscendolo di persona, mi rendo conto che fotografa quello che lui è. E questo è il massimo per un fotografo.
Ci conosciamo da tantissimi anni, con Lucia siete andate anche al concerto dei Varukers insieme :D, c’è del punk anche oggi in quello che fai?
Wow. I Varukers. Che meraviglia.
Domanda difficilissima questa! Ad oggi, parlare di punk come quel punk anni 70, non avrebbe senso: tutto è stato visto e rivisto. Anche le immagini molto provocatorie ormai sono diventate banali. Negli anni ho reinterpretato la mia idea di punk. Ho ricontestualizzato. Ho messo tanto in discussione. Ciò che amavo e amo del punk, era una scena alla mano, in cui si lottava per uguali diritti per tutti, in cui si strillava che tutti siamo uguali.
Fare fotografia punk forse oggi non è più, appunto, provocare con un immaginario che era forte un tempo, ma che lo abbiamo visto talmente tanto che è diventato normale. Essere un fotografo punk, forse oggi, è lottare per dei diritti che ancora non sono nostri. E’ sforzarsi di andare oltre la zona di comfort. E’ cercare di rompere una barriera del semplice bello, inteso come banale.
E quindi usare il reportage, il ritratto l’arte per far riflettere e far conoscere.
Non so se c’è punk nella fotografia che faccio. Forse nei miei ritratti, in cui cerco di riprendere una persona non per farla uscire “bene”, questo è facile. Ma cercare di farla uscire “vera”, che è un lavoro difficilissimo.
Alcuni aspetti del BLM americano per noi europei, sono ancora un po’ incomprensibili. A primo acchito sembra di vedere afroamericani perfettamente integrati. Nella realtà dei fatti, nonostante io sia anche stata in grandi città multiculturali come NYC o LA e non nell’entroterra dei redneck, le persone nere non le vedi ricoprire posizioni di alto livello. Difficilmente ho visto a Manhattan neri in giacca e cravatta. Mentre invece vedi solo neri appena ti muovi fuori dal cuore pulsante dell’economia degli uffici dei grattacieli: da Harlem, al Bronx ecc. Questo fa molto riflettere.
Per quanto riguarda gli USA i neri hanno un passato recentissimo di schiavitù. Hanno quindi una storia in cui hanno fatto più difficoltà ad avere un’istruzione, quindi posizioni sociali più agiate e dove la loro voce potesse contare.
Qui in Europa siamo ancora un passo indietro. I neri non è che non ricoprono i ruoli più importanti: non ricoprono proprio nessun ruolo. Sono invisibili.
E’ sicuramente più facile indignarsi per gli afroamericani, che sono lontani da noi, che vediamo con occhio più neutro rispetto ai bianchi americani. Ma non vediamo che i neri che sono qui in Italia, li trattiamo come non persone.
Ci servono per le campagne, ci servono perché li paghiamo poco. Ci servono!
E non è che cambi molto dalla storia della schiavitù americana… Ma noi ci siamo ancora dentro, per questo ci è difficile combatterla.
Ritratto! Il genere che amo! E’ una sfida continua nel cercare di instaurare un rapporto con il soggetto da fotografare per ritrarlo più sincero possibile.
Come dicevo prima, non mi interessa una persona che venga bene, per quello ci sono i selfie con i filtri!
Un paio di esempi fra i mille, per capire di cosa sto parlando: Richard Avedon – In The West, o ritratti di Nan Goldin. Poesie!
Consumata e vissuta.
Ho iniziato col digitale, e ho solo fatto un piccolo corso di sviluppo e stampa (oltre al concerto dei Varukers, io e Lucia abbiamo anche fatto questo insieme! 😀 ).
Purtroppo ho approfondito poco, perché comunque è un procedimento costoso e per me che ci lavoro con la fotografia, anche piuttosto lento per integrarlo nel sistema lavorativo di oggi.
Non sono contraria a niente a prescindere e penso che sia sempre importante sperimentare, anche con tecniche che ora non si usano più tanto. E visto che con la pellicola c’è sicuramente meno manipolazione rispetto al digitale, è anche un ritorno ad una fotografia più reale e più pensata prima di scattare. Decisamente più riflessiva.
Non sono molto positiva su questo punto, non credo che avrà vita lunga per come la intendiamo ora.
Sicuramente nel tempo sarà dal video che si potrà estrapolare la giusta foto. Ad oggi molte foto pubblicitarie sono il risultato di un lavoro di 3D e post-produzione. Di reale c’è poco o niente.
Ma come tutte le tecniche, anche questa si trasformerà, cambierà, si fonderà con altre tecniche. Sarà interessante vedere cosa succederà e dove arriverà.
Un gruppo di belle persone che chiamano altre belle persone per fare belle magliette.
Ci ho preso?
Facci una domanda
Avete mai pensato di collaborare con stilisti? Magari ci vediamo su una passerella! 😀
Mah… più che una passerella forse è più probabile incontrarci al primo bar vicino la sfilata eheh!
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